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venerdì 28 giugno 2013

ECONOMIA CONDIVISA - FRATERNITA'

QUALE E’ LA DIFFERENZA TRA L’ECONOMIA CONDIVISA E L’ECONOMIA DI MERCATO?
  
  
L’economia di mercato viene governata dalla legge sulla domanda e l’offerta.
L’economia condivisa viene governata dal sentimento di fraternità, l’amore per il prossimo è alla base d’economia di condivisione.
Una citazione biblica merita qualche riflessione in merito all’agire col sentimento e l’amore, Matteo 10:39 dove si parla di perdere e trovare la propria vita per amore.
Tutto quello che si fa per amore non viene perso, questo anche nell’economia e nel rapporto con il prossimo.
Il datore di lavoro e l’operaio operano bene se alla base del rapporto c’è il sentimento e l’amore, questo determina un clima sereno e produttivo; quando manca il sentimento e l’amore tutto viene governato dalla legge della domanda e dell’offerta e si determina un perenne conflitto, l’azienda può andare in fallimento facilmente e le conseguenze sono negative sia per il lavorato che per il datore di lavoro.

ECCO IL MOTIVO PER CUI NELL’ECONOMIA CONDIVISA VI E’ LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DI TUTTI GLI ATTORI DEL PROCESSO PRODUTTIVO.

8 commenti:

  1. ho letto quanto sopra, e devo dire, che anche io vedo l'economia condivisa cristianamente, lasciandosi trasportare dagli insegnamenti del Cristo-partecipare, compatire-dividere-sostenersi-amarsi umilmente nella buona e nella cattiva sorte- essere esempio a quanti si disperano- mostrare di avere risorse interiori oltre che materiali- essere parsimoniosi ma attenti al bisogno delmomento- informarsi di chi ha bisogno e discretamente non lo dice- insomma penso che una condivisione vada oltre le apparenze ed i bisogni materiali- dividere il pane è poca coa, ma dividere e condividere la fraternità è divino- solamente chi ama Dio e la Sua volontà puà attuarla-perchè lo Spirito Santo è in chi lo cerca con cuore sincero- i miti erediteranno la terra- i puri vedranno Dio ...
    ( A.P.)

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  2. Concordo in toto in tutto quello che hai scritto.

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  3. C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.
    Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti...


    Questa storia la conosciamo tutti, più o meno, Gesù la racconta perché attraverso la sua comprensione capiamo quanto sia utile prodigarsi verso il prossimo bisognoso. Per Gesù la ricchezza è un grande pericolo. Lo dice ai discepoli dell’antica Palestina, ma sembra che le sue parole sono terribilmente vere e attuali, anche per noi.
    Il riccone che banchetta e veste sontuosamente è accecato dal suo benessere a tal punto che non vede il povero Lazzaro che “giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco”.
    Lazzaro non è un povero qualunque, ma è li, vicino al ricco che incredibilmente non lo considera. Ora la mia domanda è questa...Il ricco è schiavo delle sue ricchezze e noi oggi che uso ne facciamo? Sappiamo gestire il bene che Dio ci ha dato, per metterlo a disposizione di chi è nel bisogno? Siamo noi che possediamo le ricchezze che abbiamo oppure sono le ricchezze che “possiedono” noi, rendendoci così dipendenti e ciechi da non vedere nient’altro che queste?
    E fin dove arrivano il nostro sguardo e l’attenzione alle persone?
    Spesso e volentieri, non vediamo le piaghe del nostro fratello che ci è vicino perché le cose che abbiamo e le preoccupazioni che accompagnano le ricchezze ci fanno da paravento…o ci portano lontano dalle sofferenze dei poveri.
    Non siamo anacronistici, anzi, sembra sempre più necessario l’appello (non facile da raccogliere e scrivere nemmeno per me) a diventare un po’ più poveri, semplici e disponibili verso gli altri. La vita eterna non sappiamo come e dove sarà, ma già da ora possiamo impostarla, vivendo con maggior condivisione di sguardi, di sentimenti, e anche di beni tra noi e coloro che poveri ci vivono accanto, più vicino di quel che pensiamo.
    Non lasciamo che siano i cani a leccare le piaghe dei tanti Lazzaro che abbiamo vicino, ma delle loro piaghe prendiamoci cura noi.
    A buon intenditore.....DTBG


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  4. Complimenti vivissimi, è un bel sito che cerca di coniugare la Fede con il lavoro e gli altri aspetti della vita.
    Mi sono unito al sito e spero di fare tesoro dei Vostri consigli e delle Vostre esperienze. Grazie.
    Romualdo Magno

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  5. La solidarietà dovrà diventare la parola d'ordine di tutti i popoli più avanzati. Aiutare materialmente chi soffre ed è meno fortunato di noi non è un optional, ma fa parte dei doveri dell'essere umano.

    Ho letto questo sul web...che dire, se non che è la pura e sacrosanta verità?
    Sin dalla fondazione del mondo, gli uomini si sono riuniti in gruppi allo scopo di soddisfare i bisogni dei suoi individui. Il più importante dovere dei componenti di una qualsiasi società consiste nell’aiutare e nell’assistere i deboli e gli indigenti.
    Stranamente, al giorno d’oggi, tutti sanno che l’indifferenza dei ricchi nei confronti dei problemi dei poveri costituisce il maggior pericolo per la società; questa indifferenza è in grado di distruggere,annientando per primi gli stessi abbienti.
    La Bibbia, anche nell'Antico Testamento ci parla di cura verso i poveri e gli indigenti. Addirittura anche ’Islam quattordici secoli fa, considerando questo pericolo, ha disposto che i ricchi distribuissero ogni anno dei loro averi tra i poveri.
    Dice Dio l’Altissimo: “Non raggiungerete mai il bene e la salvezza finché non donerete delle cose che amate”
    Innumerevoli culture concernono l’assistenza ai bisognosi; un uomo di Dio disse in proposito: “Le migliori persone sono coloro che si dimostrano maggiormente utili alla gente”.
    “Assisti nel momento della sventura l’amico tuo, se vuoi che t’assista la grazia del Signor tuo. Alfine un giorno raccoglierai, il buon seme che oggi seminerai”.
    Un gesto di bontà non costa niente, per chi possiede, ma può rendere felice un INFELICE! Chi ha orecchie per udire...oda! DTBG
    Luisa Lauretta

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  6. LA VITA E LA VALIGIA
    Di don Tonino Bello

    La vita vuota non è quando si svuota dei vostri assegni o dei vostri beni. La vita vuota è quando non si hanno ideali, ed è pesante allora, perché la vita non è come le valigie: una valigia tanto più è piena tanto più è pesante, ma la vita quanto più è vuota, tanto più diventa pesante!

    Io vi auguro che possa essere leggerissima la vostra vita, proprio perché sovraccarica anche di quella solidarietà che dà sapore a tutti i vostri giorni e che vi farà rimanere sempre giovani, anche quando le vostre spalle si incurveranno per il peso della vita!»

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  7. Se un fratello o una sorella
    sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?
    Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta.
    Al contrario uno potrebbe dire: "Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Lettera di Giacomo 2



    Ebbene si, per manifestare la nostra fede, ci dice la parola di Dio, dobbiamo attuare segni tangibili e testimonianze nella comunità e nella società in cui viviamo.
    Impossibile, allora, dirci davvero cristiani se non avvertiamo le molteplici responsabilità a cui il tempo presente ci chiama. Tutti, intorno a noi, vediamo miseria, povertà, solitudine e sofferenza. Sin dai tempi di Gesù, la povertà vestiva le strade della sua città. Il cibo scarseggiava, i bambini e le donne erano le vittime della situazione. Niente è cambiato, forse peggiorato. Ma non possiamo fare finta di niente. Molto spesso mi trovo a donare qualcosa a chi è nel bisogno, ma questo è solo una goccia nel mare...ma sempre meglio di niente.
    Il testo sopra, estrapolato dalla lettera di Giacomo, ci richiama anzitutto ad una “visibilità” della fede che trova la sua espressione, la sua concretizzazione, la sua esplicitazione nelle opere caritatevoli.
    Visibilità della fede non significa ostentazione o esibizione. Visibilità significa coerenza stretta tra le convinzioni della nostra fede, tra quanto noi professiamo e quanto noi viviamo. La “professione di fede” non può rinchiudersi nell’ambito intimo della propria interiorità, senza avere uno sbocco, una manifestazione nella concretezza della vita, negli ambiti in cui la vita si esprime e si realizza: scuola, chiesa, comunità. Un distacco della nostra vita interiore, del nostro cuore, della nostra anima, dalle opere è pressoché impossibile: che lo vogliamo o no, le nostre opere parlano di noi agli altri e dicono più delle nostre "belle" parole. E questo vale anche per la fede; le nostre opere, le nostre scelte, la nostra vita, dicono la nostra fede, mostrano la nostra fede.
    Un atteggiamento su cui dobbiamo assolutamente riflettere...."dimmi cosa fai e ti dirò che cristiano sei!" Dtbg Luisa Lauretta

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